Ibn Ezra non è stato solo un astrologo e astronomo, è stato anche un importante poligrafo erudito di cultura ebraica. Vissuto tra XI e XII secolo, voglio portarvi una interessante riflessione di ibn Ezra sul concetto di Anima, che troviamo in alcuni suoi Commenti alla Tanak o Bibbia Ebraica, ovvero in insieme di testi sacri alla cultura ebraica. Vi leggerò la traduzione che Leon Stitiskin ha fatto in riferimento all’introduzione alla Ecclesiaste proprio di ibn Ezra, il traduttore l’ha riportata in inglese e io ho provato a ritradurla in italiano. Subito dopo questa lettura un commento personale sull’Anima, evocando altri autori come Filopono e Plutarco, e concludendo con alcune considerazioni astrologiche relative alle funzioni dell’anima, provenienti da Plutarco. Subito dopo la sigla… BUONA VISIONE E BUON ASCOLTO.

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La virtù più alta nella vita è la ragione. Il suo raggiungimento salverà dagli inferi. Come il prigioniero desidera ardentemente tornare alla sua terra natale e ricongiungersi con la sua famiglia, così l’anima razionale si sforza di ascendere ai limiti superiori della sfera finché non si eleva alla sfera più alta del Dio vivente che è completamente priva di materia terrena. Questo poiché i corpi umani sono carne deperibile e somigliano a case le cui fondamenta sono di argilla.

Questo processo di ascesa può essere realizzato se lo spirito si purifica e viene purificato dalle contaminazioni dei desideri corporei che lo trascinano negli inferi. L’anima deve inoltre sforzarsi di conoscere la propria origine e comprendere la propria natura, con l’aiuto della Sapienza i cui occhi non sono offuscati, portando i luoghi lontani e remoti vicino a noi e facendo apparire la notte come il giorno.

L’anima sarà allora preparata a conoscere la verità che sarà impressa in essa in modo indelebile e non scomparirà anche quando si separerà dal corpo. Il Signore decretò che l’anima facesse la sua apparizione qui (nel corpo) e rimanesse rinchiusa in un recinto per un tempo assegnato per il proprio beneficio e benessere. Se ha sopportato molta angoscia durante la sua vita, allora godrà della beatitudine eterna senza fine. Perché ogni esperienza di vita può essere suddivisa in quattro: o è tutta buona, o parzialmente buona e parzialmente cattiva, o totalmente cattiva, o parzialmente cattiva e parzialmente buona.

La prima divisione è un dono di Dio; la seconda rappresenta la vita media sulla terra. Le restanti due sono inesistenti, perché il Signore Dio può fare solo del bene. Tutto nel mondo è buono, come dice la Scrittura: “E Dio vide tutto ciò che fece ed era molto buono e giusto”. E se qualche male prevaleva, esso era solo ai margini, che non può prescindere dall’abbondante bontà di Dio.

La radice del male sta nella deficienza di colui che la riceve. Per quanto riguarda Dio, non abbiamo altro modo di confrontare le Sue opere nel mondo se non con la Sua stessa opera, poiché in effetti tutto è opera Sua. Così, per esempio, quando vediamo che il sole, che è opera di Dio, lascerà che le vesti bianche esposte ai suoi raggi rimangano bianche e allo stesso tempo colorerà il viso del lavandaio, dobbiamo supporre che gli effetti del Sole varino con le differenze nella natura dell’oggetto o soggetto destinatario.

Perché, in verità, solo una forma di attività può essere emanata da una fonte. Quindi i cambiamenti sono dovuti alla natura specifica degli oggetti. Allo stesso modo i pensieri delle persone sono governati dalla varietà della loro natura fisica e i cambiamenti nella natura degli oggetti sono due, soggetti ai moti dei corpi celesti, alla posizione del sole e quindi ai destinatari delle loro influenze. Allo stesso modo, gli eventi del mondo sublunare, e le sue leggi, sono governati dallo stesso processo.

Il Signore, il Dio d’Israele, ha stimolato lo spirito del suo amato Salomone (terzo re d’Israele, successore e figlio di Davide) a sondare questioni importanti e ad istruirci sui sentieri della giustizia. Perché tutto il lavoro dell’uomo è vano e non può resistere (nel tempo). L’uomo non può né creare una sostanza né annientare nulla finché non si riduce al nulla. Tutta la sua attività consiste solo nel combinare e separare gli incidenti (o gli eventi), così come nel muoversi e nel riposare.

Quindi, le azioni dell’uomo sono vane e vuote. L’unica cosa di valore è il timore di Dio. Ma nessuno può raggiungere questo stadio del timore del Signore finché non sale la scala della saggezza e non ha acquisito la comprensione.

IBN EZRA PROCEDE CON UNA DESCRIZIONE DELLA COMPONENTE ANIMICA DELL’UOMO

I medici hanno già indicato che l’uomo possiede tre anime.

Una è l’anima vegetativa; vale a dire, proprio come nel regno vegetativo (come nell’erba, nelle piante e negli alberi) là è un potere che chiamiamo anima, responsabile della crescita e della riproduzione, quindi l’uomo possiede dentro di sé un potere simile. Quest’anima cresce in forza per un tempo specificato. Il suo attributo principale è il desiderio corporeo e richiede l’assunzione di cibo per la sua realizzazione.

La seconda anima è l’anima animale. Usa le facoltà dei cinque sensi ed è responsabile del potere del movimento, spostando l’animale e l’uomo da un luogo all’altro.

La terza anima, che solo l’uomo possiede, è chiamata “neshamah” (definizione: è l’anima divina nel senso più elevato e sublime ovvero una scintilla interna divina). Questa presiede la facoltà della ragione in grado di distinguere verità e menzogna.

La seconda anima è a metà strada tra le altre due anime. Dio ha dotato l’uomo di una facoltà razionale per realizzare a tempo debito il potenziale di ogni anima. Gli ha anche fornito le mitzvot (ovvero i 613 precetti alla base di un corretto stile di vita ancora oggi seguiti nell’ebraismo ortodosso) per mantenere tutto nella giusta proporzione.

Ora, sebbene in alcune parti dell’anima si alluda ad una origine onnicomprensiva, distingueremo i tre diversi poteri dell’anima con tre nomi specifici: neshamah, ruach, nefesh.

DEFINIZIONI: neshamah, scintilla divina; ruach, forza vitale; nefesh, il soffio e l’esalazione, per semplificare l’anima mossa dalla pulsione vivente.

Ciò eviterà un’elaborazione eccessiva sulle varie qualità associate a ciascuna delle tre anime. Così il termine nefesh si riferisce al desiderio dell’uomo di mangiare, di essere allegro e di indulgere nei piaceri sessuali. Il nome ruach allude alle nostre sensazioni che suscitano sentimenti di padronanza e autoglorificazione. Neshamah denota la nostra facoltà razionale. Saʿadya ben Yōssef (rabbino egiziano di fede e cultura ebraica 882-942) ha fatto una classificazione simile sulle facoltà delle tre anime.

È inoltre evidente che quando il nefesh aumenta di potenza, il neshamah diventa più debole e non ha la forza di resistere al potere del nefesh, rinforzato com’è da tutti gli altri organi del corpo. Quindi chi esagera nel mangiare e nel bere non può mai acquisire saggezza. E quando neshamah e ruach si uniscono, sopraffanno nefesh e aprono la strada a un’apertura parziale degli “occhi” di neshamah per comprendere le discipline fisiche ma non ancora metafisiche.

La ragione di questa limitazione è dovuta al potere di ruach che si sforza di dominare e dà origine alla sensazione di rabbia. Ecco dunque l’implicazione del versetto: «Meglio l’afflizione che il riso, perché mediante la tristezza del volto il cuore è reso migliore» (Ecclesiaste 7,3). La tristezza del volto si riferisce alle vessazioni e il “cuore” allude alla nostra facoltà razionale.

Successivamente, quando neshamah finalmente prevale su nefesh con l’aiuto di ruach, diventa necessario per neshamah essere preoccupato esclusivamente della saggezza in modo che con l’aiuto di quest’ultima, neshamah possa vincere ruach e renderla sottomessa a neshamah. Questo è il significato del versetto: ” “Non esser facile a irritarti nel tuo spirito, perché l’ira alberga in seno agli stolti” (Ecclesiaste 7,9). Con gli stolti riposa per sempre l’ira, ma con i saggi solo temporaneamente e quando è necessario.

Poiché molta saggezza accresce l’indignazione per le meschine vanità del mondo e dei suoi abitanti così le apparenti contraddizioni che appaiono nel libro dell’Ecclesiaste dove l’autore sembra dire una cosa in un caso e il suo contrario in un altro tempo sono solo in superficie. Lo stesso vale per il Libro dei Proverbi dove è scritto: “Non rispondere allo stolto secondo la sua stoltezza” (26,4) e nel versetto seguente: “Rispondi allo stolto secondo la sua stoltezza” (26:5). Nei Profeti e nella Torah, la nostra principale fonte, troviamo contraddizioni simili, per esempio, “Anche se in verità non ci sarà nessun povero tra di voi” (Deut. 15,4) e più avanti: «Poiché i poveri non cesseranno nel paese» (ibid., 15,11). In realtà sono simili purché si applichino ad essi le giuste nozioni filosofiche.

COMMENTO PERSONALE

Queste brevi indicazioni di Ibn Ezra, che in realtà sono la punta dell’iceberg sulle sue considerazioni filosofiche e naturali relative alla natura umana e alla natura dell’esistenza stessa, rimandano ad un filo conduttore che possiamo rintracciare in quasi tutti gli autori antichi, in riferimento a coloro che hanno trattato la Filosofia Naturale. Per esempio, quando Ibn Ezra parla di diverse tipologie di Anime presenti nell’umana complessione, possiamo rintracciare la stessa considerazione in Cornelio Agrippa che suddivide l’anima in vari livelli, alcuni di questi livelli riguardano le funzioni biologiche dell’uomo, altri le funzioni razionali e intellettuali, altre quelle animali e pulsionali. L’impressione dunque è che ogni attività umana, biologica, animica, psicologica, passionale, irrazionale e razionale è disposta da un’Anima specifica.

Sicuramente possiamo paragonare le indicazioni di ibn Ezra a quelle di Giovanni Filopono (490-570) nato prima di ibn Ezra è stato un filosofo, teologo, scienziato e grammatico bizantino, e guidò per un  lungo periodo la Scuola Filosofica di Alessandria. L’anatomia dell’anima secondo Filopono rimanda ad una certa logica-astronomica e astrologica.

Per Filopono la Parte Razionale e Immortale dell’Anima non è soggetta ad influenze esterne ma è soggetta alle sole scelte individuali e collettive, auto generate e non determinate da qualche ipotetico influsso extra umano, ovvero è quella parte di noi che “decide” in autonomia e senza alcun dominio di un determinismo o di un influsso, quello che poi sarà chiamato “libero arbitrio”. Per Filopono un’altra parte della nostra anima è irrazionale non separabile dalla parte razionale. Poi Filopono introduce la Parte dell’Anima Corporea, quell’anima cioè che alberga i nostri organi. E per concludere, la Parte Vegetativa soggetta alla potestà e al dominio della Terra, il nostro pianeta.

Pitagorici, orfici e platonici ritenevano che l’anima possedesse una sorta di veicolo chiamato OCHEMA, Platone descrive nel Fedro l’Anima come qualcosa dotato di splendore e luce, ci si riferisce spesso all’anima come una sorta entità luminosa trasportata da un carro. Plutarco nel testo De sera numinis vindicta descrive l’anima come un involucro di fuoco, e dice che alcune anime sono dotate di luce di plenilunio, altre di colori sfumati, altre di macchie pallide a altre di graffi e lacerazioni. Anche in questo caso si rimanda ad una idea di anima connessa alla Luce e alle cose quindi dotate di  una emanazione luminescente.

Molti autori concordano nel ritenere che il nostro corpo biologico, gli organi, i tessuti, siano presieduti da una sorta di anima transitoria, una specie di ninfa o guardiano del corpo, e all’evento di morte questo guardiano si discioglie improvvisamente mentre un’altra parte di questa anima vegetativa rimarrebbe nel corpo, e verrebbe disciolta insieme alla dissoluzione della materia organica. Mentre ci sarebbe in noi una parte razionale, irrazionale e dotata di passione, che permarrebbe anche dopo la morte, ed è quella parte di noi che salirebbe verso le sfere celesti, verso le stelle e l’infinito, ritornando in un certo senso nel luogo originario, ove tutto ha avuto origine.

Nell’ottica astrologica la struttura dell’anima e del corpo può essere ricavata da Proclo secondo il quale noi siamo la rappresentazione di un microcosmo dove è riprodotto e contenuto il tutto, in scala umana. Quindi in noi c’è intelletto, ragione, in un corpo divino e mortale, dunque siamo divinità all’interno di un corpo mortale.

Per questo possiamo ricavare da Proclo che:

  • La natura intellettuale corrisponde alle stelle fisse.
  • La ragione a Saturno.
  • L’aspetto sociale a Giove.
  • La parte razionale e passionale a Marte.
  • L’eloquenza a Mercurio.
  • Il desiderio a Venere.
  • La facoltà percettiva al Sole.
  • La vita vegetativa alla Luna.

In Liber de lunaticis Paracelso ritiene che al momento della morte una parte di noi rimane presente, come espressione di uno spettro che sarà gradualmente assorbito dalla terra, mentre un’altra parte di noi raggiungerebbe le stelle, ritornando in una dimensione ultraterrena e infinita, ritornando nel luogo originario.

di Francesco Faraoni

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