Antonella Aloi è Psicologa, già laureata in Scienze della Comunicazione, si occupa di divulgazione e formazione su temi legati alla psicologia e alla ricerca di senso dell’essere umano. Conduce sessioni individuali e di gruppo focalizzate sullo sviluppo della creatività e la valorizzazione delle risorse. Studiosa di simbologia in un’ottica di crescita personale, ha scritto con Anna Maria Morsucci I Tarocchi Marsigliesi per tutti ed. Lo Scarabeo. Usa l’arte e la simbologia come strumenti per attivare l’immaginazione in sé e negli altri. Attraverso questo articolo, vogliamo riflettere sul momento che stiamo vivendo e sul senso della “pandemia psichica” in un momento storico che ci unisce tutti in un’unica fase in cui siamo chiamati a capire chi siamo e cosa stiamo vivendo.

 

ANTONELLA ALOI PER ALMUTEN.ITIl sonno della ragione genera mostri.È una frase che mi riecheggia in testa, fin da quando mi è stato chiesto di scrivere qualcosa sulla perdita di lucidità collettiva che sembra caratterizzare questo periodo storico. Mi sono accorta di aver rievocato queste parole anche in passato, ma mi ero completamente dimenticata della loro provenienza (o forse non l’ho mai saputa). Non è una citazione, né il titolo di un romanzo. È il titolo di un quadro dell’artista spagnolo Francisco Goya.

La frase compare nel quadro stesso e sembra messa lì per descrivere un’immagine che per qualcuno potrebbe risultare inquietante, disturbante. Siamo nel 1797, la Rivoluzione Francese e l’Illuminismo stanno cambiando il modo di vedere il mondo. A metà del secolo successivo, il Positivismo contribuirà a sancire il primato della ragione sulle false credenze e le pseudoscienze. Un’immagine del genere potrebbe essere la semplice conferma del pericolo che incombe nel momento in cui “ci addormentiamo”, abbassiamo la guardia e lasciamo che i mostri in grado di abitare il nostro mondo interiore prendano il sopravvento. È proprio così?

Pare di no. In uno scritto conservato al Museo del Prado, Goya ha spiegato la sua opera e, attraverso di essa, la sua visione dell’arte.

 

«La fantasia abbandonata dalla ragione genera mostri impossibili: unita a lei è madre delle arti e origine delle meraviglie».

 

In altre parole, non è il caso di mettere da parte la “fantasia”, la creatività, l’istinto e ogni forma di sentimento per votarsi esclusivamente alla Dea Ragione. Al contrario: nelle intenzioni di Goya la fantasia sembra essere protagonista. Semmai, a “generare mostri impossibili” è la fantasia del tutto slegata dalla ragione. Potremmo osare di più, facendo sì che a muovere i nostri passi sia un connubio di quelle che Carl Gustav Jung ha descritto come le quattro funzioni psichiche. Ragione, sì. Ma anche Sentimento, Intuizione, Sensazione.

La ragione, senza le altre tre “sorelle”, può diventare una forma parecchio ottusa di rigidità. Il sentimento, da solo, può farci indulgere in parole vuote. L’intuizione ha valore nel momento in cui un fatto concreto la avvalora (e ci ragioniamo su). La sensazione fisica può essere un primo impulso, ma non può guidare ogni nostro passo.

Questa convinzione l’abbiamo presa un po’ troppo alla lettera, altrimenti non si spiega la quantità di individui che hanno smesso completamente di ascoltare i bisogni elementari del proprio corpo, ma questa è un’altra storia. Che cosa c’entra tutto ciò con la pandemia in senso stretto e con i suoi contraccolpi psichici? Arrivo al punto.

A Marzo del 2020, “nel mezzo del cammin di nostra vita”, ci hanno detto che esisteva un virus in grado di ucciderci tutti. Non è la prima volta che accade (pensiamo all’Ebola o alle prime forme di SARS, oppure al morbo della Mucca Pazza), ma questa volta il virus in questione ci è stato presentato come un pericolo vicino, concreto, in grado di colpire ognuno di noi indistintamente e in qualsiasi momento.

Come è successo a Dante prima di giungere all’Inferno, a Goya addormentato alla scrivania, oppure agli abitanti del castello della Bella Addormentata dopo che Aurora si è punta col fuso, siamo caduti in una specie di trance collettiva scandita da bollettini medici, scene apocalittiche viste sui media o di persona. Bare e ospedali in prima pagina, tutti i giorni. In molti casi, direttamente nelle nostre vite. Qualcuno stava già attraversando il proprio inferno personale. Forse ben più di qualcuno. E agli incubi personali si è sommato questo angoscioso incubo collettivo che ancora, in modo diverso, stiamo vivendo.

Mascherine, distanziamento sociale, isolamento e tamponi sono entrati a far parte del nostro vissuto e del lessico quotidiano. Da qualche mese le parole che hanno guadagnato il centro della scena nelle conversazioni collettive sono vaccino e green pass.

Le informazioni, in verità, sono arrivate fin da subito in modo caotico, confuso, a tratti contraddittorio. C’è stato chi ha parlato di semplice influenza, chi di virus letale. Sono sorte le più disparate ipotesi sulla sua genesi, sul suo decorso, sui reali pericoli. La comunità scientifica, per la prima volta, è apparsa in molti casi fragile, inerme e soprattutto incerta sul da farsi. La sensazione comune è stata quella di navigare a vista.

Ci hanno chiusi in casa. Tutti, in tutto il mondo. Le certezze, i progetti per il futuro o anche semplicemente i programmi per la giornata sono stati spazzati via dai canti sul balcone, dai chili di pizza fatta in casa (per poi riversarsi sui nostri corpi sfatti), dalle passeggiate fatte fare al cane vero o comprato per l’occasione, pur di poter ottenere un’ora d’aria.
Poi ci hanno permesso di uscire, subordinando la ritrovata libertà a una qualsiasi forma di tutela (per alcuni) o costrizione (per altri): il tampone e il green pass di cui sopra.

Quali sono state le reazioni più comuni ai mostri generati da questo incubo collettivo? Come abbiamo sommato ai nostri inferni personali questo grande, asettico inferno di massa?

Per prima cosa, tantissimi hanno creduto di esser svegli. Soprattutto coloro che hanno sentito l’impulso di puntare il dito contro una categoria di presunti dormienti. Pochi, pochissimi hanno colto l’occasione per guardare in faccia i propri mostri. Per dare un nome alla paura della malattia e della morte, alla possibilità di perdere il respiro, di perdere i propri cari. Qualcuno ha negato l’esistenza del virus. Altri hanno negato l’utilità del vaccino. Altri ancora si sono affidati esclusivamente alla scienza senza porsi neppure una domanda. Pochi hanno cercato un dialogo, tanti hanno trasformato i loro mostri personali in una guerra contro uno o più nemici, da attaccare senza la minima empatia, il minimo rispetto.

Le bacheche dei social network, gli attuali bar o salotti in cui un tempo si discuteva di tutto e di niente, si sono riempite di commenti pieni di livore, a volte palese, altre invece mascherato da velati tentativi di indottrinamento. Vi è stato poi chi ha pensato che il virus esiste, sì, ma se “manteniamo alte le nostre vibrazioni” non potrà farci nulla.

Tutto, pur di non guardare in faccia i mostri generati dal sonno della ragione. Perché lo scientismo e la credenza totale nell’irrazionale sono due estremi che si toccano, questo è meglio tenerlo a mente. Che ci si rifugi nelle parole del virologo di turno o nelle parole del comico assurto a leader della lotta “contro il sistema”, si sta sempre cercando un modo per non guardare in faccia i propri limiti, le proprie paure.

Nel frattempo, il disagio psichico aumenta. Il Bambin Gesù ha raccolto un dato allarmante: durante la pandemia è cresciuto in modo esponenziale il numero di ricoveri per suicidio e autolesionismo nella fascia d’età fra i 15 e i 24 anni. Che cosa può essere successo, durante il lockdown, nelle famiglie in cui già si respirava aria di violenza fisica o verbale, oppure di entrambe? Quali possono essere state le conseguenze per chi soffriva già di disturbi d’ansia, attacchi di panico, agorafobia, disturbi alimentari (solo per citarne alcuni)? E quanti, mantenuti in un equilibrio psichico precario dalla routine casa-lavoro-palestra, sono crollati sotto il peso della giornata dilatata, non più scandita da un fare compulsivo? Nelle scuole, com’è stata vissuta la didattica a distanza dagli insegnanti e dagli studenti? Negli asili nido e nelle scuole dell’infanzia, com’è stato per i genitori e i loro piccoli sostenere la necessità dell’isolamento sociale, proprio in una fase che dovrebbe essere caratterizzata dalla scoperta della socialità nelle sue forme più sane e piacevoli? Gli esempi che ho fatto sono pochi, le dimensioni del fenomeno molto più ampie e pervasive. Le conseguenze, poi, sono sotto gli occhi di tutti.

Eppure viviamo in un Paese nel quale la salute psichica è tenuta in poca, pochissima considerazione. La psicoterapia costa, di prevenzione neanche a parlarne. Così, pare che alcuni medici di base prescrivano lo Xanax al primo accenno d’ansia, alcuni medici dietologi la fluoxetina (un antidepressivo) per accelerare il processo di dimagrimento. I reparti di psichiatria e psicoterapia delle ASL tendono a prescrivere farmaci e a proporre trattamenti brevi, sostenibili nel breve periodo dati i costi, e per la maggior parte volti a una rieducazione comportamentale, più che a una revisione totale dei processi e dei percorsi esistenziali. Non voglio generalizzare, può essere che non sia così ovunque. Né intendo demonizzare le terapie cognitivo-comportamentali, tra le più accreditate a livello scientifico. Tantomeno puntare il dito contro la psichiatria e la somministrazione di farmaci, laddove necessario. No. Vorrei semplicemente porre l’accento sull’attenzione quasi nulla verso la prevenzione. Che si sostanzia, tra le altre cose, nell’educazione alle emozioni, ai sentimenti e – in seconda battuta – alla comunicazione verbale e non verbale.

Occorre educarci al coraggio di ascoltare fin da piccolissimi le sensazioni corporee, le emozioni, le intuizioni senza averne paura. Oppure, senza cercarle compulsivamente perché incapaci di “sentire qualcosa”. Due condizioni opposte che possono portare a malesseri difficili da sostenere.

È necessario insegnare a bambini e adulti il rispetto di sé e degli altri, che si concretizza nella capacità di ascoltarsi e di ascoltare. Troppo è stato ed è tuttora il dolore causato dalle emozioni censurate, dai desideri repressi, dalle aspirazioni inascoltate.

Chi (o che cosa) ci salverà dalla pandemia psichica? Nessuno se non noi stessi. È una verità amara ma necessaria. Va detta. Perché, se è vero che esistono soluzioni potenzialmente salvifiche contro la paura e i mostri che genera, è altrettanto indubbio che nessuna via per il benessere potrà essere percorsa senza fare appello al nostro potere personale. Nessuno può sostituirci in questo.

Tuttavia, è probabile che ogni nostra spinta verso l’evoluzione interiore si riveli parziale e infruttuosa senza un Tu con cui condividere le nostre scoperte, un Noi al quale sentire di appartenere. Un contesto sociale, culturale, o anche semplicemente una famiglia umana da rispettare anche in quello che sentiamo distante.

Ci salverà (forse), il desiderio di confrontarci con chi la pensa diversamente senza chiuderci in giudizi e assiomi. La voglia di coltivare la nostra dimensione spirituale senza mai perdere di vista la nostra umanità. La capacità di non mentire a noi stessi, per quanto possibile, oppure riconoscere quando mentiamo spudoratamente e riderci su. Ci salveranno le risate, la gentilezza, anche le lacrime (in moltissimi casi necessarie e nutrienti). Ci salverà, forse, la ricerca della versione più onesta di noi stessi e la contemporanea, paradossale consapevolezza delle nostre recite quotidiane. Ci salverà il nostro chiedere ai governi che ci rappresentano una maggiore attenzione verso la salute mentale. Ci salverà parlarne, non aver paura di chiedere aiuto per le nostre aree di fragilità.

Di certo non ci salveranno i proclami in pubblica piazza, le tribune elettorali 2.0, le notizie (vere o false) ingurgitate come cibo spazzatura, il desiderio spasmodico di convertire il prossimo alle nostre indiscutibili verità.

Il sonno della ragione genera mostri, questo è vero. Tuttavia molti non sanno che questi mostri non sono così orribili: possono diventare preziosi alleati se trasmutati. Ossia, se riusciamo a non indulgere in proiezioni, demonizzazioni di ciò che ci sembra lontano da noi. Oppure se riusciamo a non dipingere noi stessi come un pallido simulacro di quel che siamo, pur di compiacere questo o quello.

Soprattutto, nessuno ci ha ricordato che questi mostri provengono da noi stessi. E il nostro interno, quella parte che qualcuno chiama anima, nei suoi recessi più oscuri, è il primo luogo dove guardare per sfuggire a ogni forma di pandemia psichica. Oppure, ancora meglio, per riconoscerla e trasformarla in linfa vitale.

 

AUTRICE – Antonella Aloi

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